Suor Mariam Al Bishara

“Noi abbiamo riconosciuto e creduto all'amore che Dio ha per noi ”.

Quando ero piccola il pensiero che mi spaventava di più, era non capire cosa succedesse agli uomini, quando morivano. Pensavo alla possibilità di non esistere più, questo mi causava angoscia, non potevo immaginare che fosse davvero possibile così. Ma quanta pace provò la mia anima nel sentire che dopo questa vita ce n’era un’altra che durava per sempre, che esisteva un Cielo in cui avremmo ritrovato i nostri cari e dove insieme a Dio saremmo stati felici per sempre! A quell’età non potevo capire cosa significasse questa verità, ma non ho mai dubitato che fosse così.

I miei genitori sono stati sempre di grande esempio, facevano ogni cosa affinché non mancasse nulla a me, mia sorella e ai miei 2 fratelli.

Quando avevo 10 anni, decisero di andare a vivere in un altro paese, in cui mio padre avrebbe potuto trovare un lavoro migliore.

Lasciammo parenti e amici nel Nord dell’Argentina per trasferirci a 1200 km di distanza dalla nostra città. Un distacco provvidenziale, trovandoci improvvisamente soli, e con tante difficoltà, ci abbandonammo totalmente nelle mani di Dio.

Le promesse lavorative non furono mantenute, ma a quel punto tornare indietro sarebbe stato peggio, non avevamo più nemmeno i soldi per rifare il trasloco. Iniziammo a pregare tutti insieme, e dopo  qualche tempo i miei  trovarono lavoro.

In quel periodo conoscemmo anche un sacerdote che divenne presto  la nostra guida spirituale. Nella sua parrocchia frequentai il catechismo per la Cresima e  nel corso di due anni la mia fede crebbe tanto quanto il mio amore per Gesù e il desiderio del Cielo.

 

Poco dopo è cominciò l’adolescenza, il centro divennero  gli amici, la musica, i vestiti alla moda, le feste. Il tentativo era comunque  quello di riempire l’anima, ma con cose passeggere.

La mia era una spiritualità leggera e comoda. Stavo bene così, anche se in fondo qualcosa mancava, mi vedevo come una banderuola trasportata, ero in balia dal del vento.

La misericordia di Dio, però non tardò ad arrivare, da Buon Pastore, mi ritrovò prima che i pericoli e gli ostacoli, diventassero insormontabili.

Appena compiuti 16 anni, mi ritrovai un giorno a guardare in TV il funerale di una suora, minuta e anziana, vi assistevano migliaia di persone di tutto il mondo, mi accorsi di conoscere il suo nome, Madre Teresa di Calcutta! Ma volevo sapere di più, che cosa aveva radunato tante persone nel momento della sua morte? Aveva dovuto fare qualcosa di molto grande per essere così amata da tutti. Provvidenzialmente arrivò tra le mie mani un libro che s’intitolava “Madre Teresa di Calcutta, Pregare, il suo pensiero spirituale”.

Lo lessi avidamente e tutto di lei mi attrasse affascinò, l’esempio, le parole, il dono totale di sé a Dio e ai più poveri tra i poveri nei quali Lo riconosceva.

 

“Date, ma non gli avanzi, bisogna dare tutto”, e poi “La santità non consiste nel fare delle cose straordinarie, ma nell’accettare con un sorriso ciò che Gesù c’invia, nell’accettare e seguire la volontà di Dio” .


Cominciai a cambiare i miei atteggiamenti, ma soprattutto i pensieri. Le cose materiali non mi attiravano più, volevo fare del bene anch’io agli altri. Pensai al gruppo giovanile della parrocchia, facevano visita agli anziani, studiavano la dottrina di Gesù e soprattutto frequentavano i Sacramenti. Mi unii a loro.

Arrivò il tempo di Quaresima, come in tutte le parrocchie anche nella nostra c’era l’abitudine di fare la Via Crucis. Ma questa volta per me era diverso, capii in modo speciale che tutte le sofferenze erano state patite da Gesù per dimostrarmi quanto grande era fosse il suo amore per me. 

Aveva voluto consegnare se stesso, per aprirmi le porte del Cielo, al quale tanto desideravo arrivare. In mezzo a questi sentimenti sentivo il bisogno di fare anch’io qualcosa per Lui, per ringraziarLo, ma non sapevo cosa!

Ricordai allora una domanda che una volta mi aveva fatto il sacerdote amico di famiglia, parlando di un giovane del nostro gruppo appena entrato in seminario:

 

“Se Dio chiamasse qualche volta anche te, cosa faresti?"

 

E subito la mia risposta fu: “Ci andrei anch’io”.

Sentivo che Dio mi chiamava e che il modo di  rispondere al suo amore era donarmi  interamente a Lui nella vita consacrata.

Ma non ne ero ancora sicura, non potevo sapere se riuscivo ancora a capire si trattava se era veramente di una chiamata di Dio. Pensai di rivolgermi allo stesso sacerdote, che mi consigliò di pregare e chiedere a Dio la certezza della Sua volontà, qualsiasi essa fosse stata. 

Alcuni mesi dopo visitai con un’amica un convento in cui si trovavano altre ragazze della Parrocchia diventate suore, ci andammo per fare alcuni giorni di Esercizi Spirituali secondo il metodo di Sant’Ignazio di Loyola.

 Feci l’esperienza del silenzio e della solitudine, in cui l’anima trovandosi libera da ogni altra preoccupazione parla con Dio come un amico e la Sua voce, il suo volere diventano chiari.

Durante quei giorni capii che Dio mi chiamava a seguirLo e che avrei dovuto lasciare tutto per diventare sua Sposa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Il Signore vi propone delle mete più alte e vi chiama a donarvi a quest’amore senza limiti. Scoprire questa chiamata, questa vocazione è rendersi conto che Cristo ha gli occhi fissi su di te e che t’invita con lo sguardo alla donazione totale nell’amore. Di fronte a questo sguardo, davanti a questo amore suo, il cuore apre le porte contemporaneamente ed è capace di dirgli di sì!”

(San Giovanni Paolo II)

 

Quando lo dissi ai miei genitori, per loro fu difficile accettare la  mia decisione,  dovettero rinunciare al sogno di avere tutti i loro figli vicini. Ma allo stesso tempo mi rivelarono il proposito, che si erano fatti, di appoggiare le nostre scelte sempre, purché fossero positive.

 

Entrai in Noviziato appena terminate le scuole superiori. La mia vita iniziò a trasformarsi attraverso la preghiera in silenzio davanti al Santissimo Sacramento, la celebrazione della Liturgia, specialmente la Domenica, quando sembrava di stare più in Cielo che in terra, la vita comunitaria, in cui avevo trovato tante nuove sorelle e amiche, con cui condividere gli stessi ideali, lo stesso fine: amare Dio e aiutare nella salvezza delle anime, annunciando il Vangelo al mondo!

La povertà, le difficoltà, le prove da affrontare non erano motivo di tristezza, ma al contrario invece di portare tristezza erano motivo di gioia per tutte.  In questo modo potevamo somigliare di più al nostro Divino Sposo. L’obbedienza mi rendeva consapevole che diventavo sempre più libera, perché non appartenevo più a me stessa.

La castità mi dava la chiara sensazione di poter essere madre spirituale di tante anime. Il mio Fiat a Dio era già definitivo, anche se mi rendevo conto di essere solo all’inizio.

 

Capivo che le suore appartandosi dal mondo consegnavano totalmente le loro vite a Dio in un silenzioso olocausto d’amore e si trovavano allo stesso tempo in prima fila nell’opera missionaria della Chiesa. Questa forma di vita mi attirava sempre di più, e il desiderio di vivere così, solo per Dio nel nascondimento della clausura  e lavorare per la salvezza di tutti gli uomini cresceva. Comprendevo l’entità della grandezza della rinuncia che stavo compiendo. Ma sentivo che dal profondo dell’anima, era Gesù che, come ai suoi primi discepoli, m’invitava a “prendere il largo ”, a riporre tutta la mia fiducia in Lui. Con la mia preghiera sarei potuta  arrivare ovunque.

 

Sono passati 17 anni da quel giorno benedetto del mio ingresso in clausura, posso solo ringraziare Dio!